Dal punto di vista sociolinguistico, la lingua italiana è caratterizzata dalla presenza di un’ampia gamma di varietà regionali dotate di specifiche caratteristiche a tutti i livelli di analisi linguistica: la pronuncia regionale, ad esempio, è facilmente riconoscibile anche in contesti formali grazie alla presenza di tratti fonetici non standard.
Per italiano standard si intende una varietà di lingua fissata in termini normativi e astratti che non corrisponde all’uso effettivo e individuale di persone reali (cfr. Maturi 2006: 77-78) 1.
Lo standard costituisce la varietà di lingua utilizzata per l’insegnamento dell’italiano L2 ed è seguito solo da alcune categorie di professionisti come gli attori e i doppiatori.
Essendo le lingue soggette a una continua variazione lungo diversi assi, l’uso orale dell’italiano nell’ambito dei mass media esibisce diversi elementi non standard appartenenti alle pronunce regionali che, proprio in virtù del loro uso in tali ambiti dotati di un alto livello di prestigio, acquisiscono legittimazione e contribuiscono a definire una nuova norma denominata italiano neostandard.
Non tutti sono concordi nel definire e studiare la pronuncia standard: Luciano Canepari, ad esempio, preferisce usare il termine "neutro" invece di "standard" proprio perché questo termine si riferisce alla lingua usata nei mass media e non ad una pronuncia effettivamente neutra (cfr. Canepari 2007: 9) 2.
Per poter descrivere sistematicamente la pronuncia dell’italiano standard ed effettuare la trascrizione fonetica è necessario definire l’inventario fonetico di tale varietà, la struttura della sillaba, l’accento primario di parola e il raddoppiamento fonosintattico.
Riferimenti
1 Maturi, Pietro (2006), I suoni delle lingue, i suoni dell’italiano. Nuova introduzione alla fonetica, Bologna: Il Mulino.
2 Canepari, Luciano (2007), Fonetica e tonetica naturali. Approccio articolatorio, uditivo e funzionale: Università di Venezia.
L’italiano standard riadatta il trapezio vocalico IPA includendo sette foni vocalici.
| Anteriori | Centrali | Posteriori | |
| Alte | |
||
| Medio-alte | |||
| Medio-basse | |||
| Basse | |||
Le caratteristiche indicate sulle righe (alte, medio-alte, medio-basse, basse) si riferiscono agli spostamenti verticali della lingua (alternativamente, è possibile riferirsi anche al grado di apertura delle vocali: le vocali alte sono dette anche chiuse, le medio-alte semichiuse, le medio-basse semiaperte e le vocali basse sono dette anche aperte); le caratteristiche rappresentate sulle colonne (anteriori, centrali e posteriori) dipendono dagli spostamenti orizzontali della lingua.
La particolare forma trapezoidale dipende dal fatto che la lingua posizionata in basso ha minore libertà di movimento orizzontale rispetto alla posizione in alto. I foni [ɛ] e [ɔ] sono presenti solo su sillabe accentate: all'interno di sillabe non toniche, essi sono rispettivamente sostituiti da [e] e [o].
La quantità vocalica è determinata dalla regola di compensazione quantitativa: le sillabe toniche aperte non finali hanno vocale lunga, tutte le altre vocali sono brevi.
Se due foni vocalici si trovano uno immediatamente dopo l’altro si ottiene un dittongo che è definito come la successione di due vocali all’interno della stessa sillaba. Tutte le sette vocali si possono combinare con una vocale alta (o chiusa) diversa costituendo un dittongo discendente. In tabella sono rappresentati i dittonghi discendenti in italiano standard (le forme precedute da * indicano combinazioni non esistenti).
| i | u | |
|---|---|---|
| e | ei | eu |
| ɛ | ɛi | ɛu |
| a | ai | au |
| ɔ | ɔi | *ɔu |
| o | oi | *ou |
Dittonghi discendenti in italiano standard
Le combinazioni possibili sono poche: soltanto la vocale bassa e le vocali anteriori medio-alta e medio-bassa sono compatibili con una seconda vocale sia anteriore sia posteriore.
I dittonghi ascendenti nascono dalla combinazione di una vocale alta con un’altra vocale ma non sono considerati dei dittonghi veri e propri perché il primo fono vocalico in realtà è un glide (chiamato anche approssimante).
In tabella sono rappresentati i dittonghi discendenti in italiano standard.
| i | e | ɛ | a | ɔ | o | u | |
|---|---|---|---|---|---|---|---|
| j | *ji | je | jɛ | ja | jɔ | jo | ju |
| w | wi | we | wɛ | wa | wɔ | wo | *wu |
Dittonghi ascendenti in italiano standard
Nel caso dei dittonghi discendenti sono possibili praticamente tutte le combinazioni, a patto che le due vocali siano diverse.
Tutte le altre combinazioni di due vocali (medio-basse o medio-alte come [eɔ] in [teˈɔ:loɡo] oppure una medio-alta o una medio-bassa con una vocale aperta come [ea] in [beˈa:to]) sono chiamate iati e le due vocali appartengono a due sillabe differenti.
Da segnalare la possibilità di trittonghi costituiti da una sequenza di glide e dittongo.
| Labiale | Labiodentale | Dentale | Alveolare | Post-alveolare | Palatale | Velare | |
|---|---|---|---|---|---|---|---|
| Occlusive | pb | td | kɡ | ||||
| Affricate | ʦʣ | ʧʤ | |||||
| Fricative | fv | sz | ʃ(ʒ)^ | ||||
| Nasali | m | ɱ | n | ɲ | ɳ | ||
| Laterali | l | ʎ | |||||
| Vibranti | r | ||||||
| Glide | w | j |
| Labiale | Labiodentale | Dentale | Alveolare | |
|---|---|---|---|---|
| Occlusive | pb | td | ||
| Affricate | ʦʣ | |||
| Fricative | fv | sz | ||
| Nasali | m | ɱ | n | |
| Laterali | l | |||
| Vibranti | r | |||
| Glide | w |
| Post-alveolare | Palatale | Velare | |
|---|---|---|---|
| Occlusive | kɡ | ||
| Affricate | ʧʤ | ||
| Fricative | ʃ(ʒ)^ | ||
| Nasali | ɲ | ɳ | |
| Laterali | ʎ | ||
| Vibranti | |||
| Glide | j |
Inventario consonantico dell'italiano standard
In tabella è presentato l’inventario consonantico dell’italiano standard.
Ogni riga indica un modo di articolazione, ogni colonna un luogo di articolazione.
Ogni cella della tabella può ospitare fino a due foni: se il simbolo è presente nella metà
sinistra della cella esso indica un fono sordo, se è nella metà destra della cella si tratta di un
fono sonoro. Nasali, laterali, vibranti e glide sono sempre sonori.
Per quanto riguarda la quantità, in posizione intervocalica tutte le consonanti a parte le fricative
post-alveolari, le palatali (tranne [j]) e le affricate alveolari, possono essere brevi o lunghe.
La quantità ha valore distintivo come nelle coppie minime casa/cassa, pala/palla.
Le eccezioni (cioè le fricative post-alveolari, le palatali tranne [j] e le affricate alveolari)
sono sempre brevi in posizione iniziale di parola (sciarpa [ˈʃarpa]) e lunghe in posizione
intervocalica (fascia [ˈfaʃʃa]).
^ La fricativa post-alveolare sonora è una recente aggiunta all’inventario consonantico dell’italiano standard ed è utilizzata in alcune parole di provenienza francese come garage [ɡaˈraʒ]. Dal punto di vista della scrittura è quindi realizzata tramite il digrafo <ge> che, tuttavia, non è in corrispondenza biunivoca con [ʒ] o dal grafema <j> anch’esso non in corrispondenza biunivoca con il fono.
La sillaba in italiano standard ha la struttura generale rappresentata in figura. Le parentesi tonde indicano l’opzionalità dell’elemento, la lettera C indica una consonante, la lettera V indica una vocale.
Il nucleo deve essere sempre presente e, in italiano, è obbligatoriamente vocalico: esso può essere costituito da una vocale semplice o da un dittongo (di cui il secondo elemento, come è mostrato in figura, appartiene alla coda). Gli altri elementi possono non essere presenti all’interno di una sillaba e hanno alcune restrizioni:
attacco e rima possono essere complessi mentre la coda è sempre semplice. L’attacco di una sillaba dev’essere sempre di sonorità crescente a meno che la prima consonante non sia una /s/. I cluster iniziali /s/+consonante (singola o doppia) costituiscono un’eccezione chiamata anche appendice (cfr. Kramer 2022: 568) 1.
Per tutti gli altri casi, vale la seguente gerarchia di dai meno sonori ai più sonori (adattata da Kramer 2022: 570) 1:
fricative alveolari, nasali
laterali
vibranti, glide
vocali
La coda consonantica è presente solo dopo un nucleo vocalico semplice e può contenere unicamente consonanti sonore oppure /s/. Se la coda consonantica è presente la sillaba si dice chiusa, altrimenti si dice aperta.
Le sillabe possono essere analizzate anche in termini quantitativi in quanto in italiano sono ammesse sillabe brevi (costituite da una mora o monomoraiche) e sillabe lunghe (costituite da due more o bimoraiche).
Ogni vocale breve è monomoraica, le vocali lunghe e i dittonghi sono bimoraici, la prima parte di una consonante geminata (cioè doppia) è monomoraica (in quanto coda consonantica della sillaba).
Questa analisi è in grado di spiegare la mutua esclusività all’interno di una sillaba di vocali lunghe, dittonghi, code e consonanti doppie perché nella lingua italiana sono ammesse sillabe al massimo bimoraiche .
Sono presenti alcune eccezioni a questa regola come austriaco e claustrofobia in cui le sillabe [aws] e [klaws] sono trimoraiche.
Kramer (cfr. Kramer 2022: 569) 1 osserva che queste eccezioni sono molto rare e coinvolgono sempre /s/ all’interno della coda che potrebbe quindi essere un caso eccezionale al pari dell’appendice /s/ all’inizio di una parola.
Riferimenti
1 Kramer, Martin (2022), ‘18 Italian’ In Manual of Romance Phonetics and Phonology edited by C. Gabriel, R. Gess and T. Meisenburg, pp. 559-596. Berlin, Boston: De Gruyter.
In italiano l’accento è libero e può trovarsi su tutte le sillabe dall’ultima alla quintultima (ma l’accento sulla quartultima o quintultima sillaba è un caso molto raro e si verifica solo in casi particolari):
- le parole con accento sull’ultima sillaba sono dette tronche o ossitone e in esse l’accento è anche indicato dal punto di vista grafico
- le parole con accento sulla penultima si definiscono piane o parossitone (tra il 70% e l’80% delle parole italiane)
- le parole con accento sulla terzultima sono chiamate sdrucciole o preparossitone
- si dicono bisdrucciole le parole con accento sulla quartultima sillaba e si tratta di forme di terza persona plurale presente di verbi (come àgitano, càpitano) oppure forme verbali sdrucciole con un clitico (come ìndicami) o ancora forme verbali piane con due clitici (come vedétevela o pàrlamene)
- si dicono trisdrucciole le parole con accento sulla quintultima sillaba e sono sostanzialmente forme verbali sdrucciole con l’aggiunta di due clitici (come ìndicamelo o òccupatene)
I monosillabi non sono accentati. La posizione dell’accento è marcata dal punto di vista lessicale, nel senso che l’accento determinato
lessicalmente è più importante di qualunque algoritmo per fissare deterministicamente la posizione dell’accento (e ciò è corroborato dal fatto
che in italiano l’accento è tratto distintivo e dà vita a coppie minime come meta/metà o àncora/ancòra).
La posizione dell’accento è
imprevedibile e anche un’analisi basata sulle caratteristiche delle sillabe accentate (derivata da Kramer 2022: 571-576) 1 non permette di
risolvere il problema: le sillabe chiuse in penultima posizione all’interno di una parola sono quasi sempre accentate (eccezione è la parola
[ˈpɔːliʦʦa]) mentre in terzultima posizione possono essere accentate (come [ˈkandido]) oppure no (come [banˈdiːto]).
In posizione finale di parola le sillabe chiuse di norma non sono accentate come dimostrato dall’accentazione degli acronimi (cfr. [ˈaːnas],
[ˈiːrap]) ma in alcuni prestiti possono esserlo (cfr. [baˈʣar]).
L’analisi delle sillabe chiuse è confermata dallo studio dello stesso Kramer sull’accentazione delle nonce words (cfr. Kramer 2006) 2:
le sillabe chiuse in penultima posizione attraggono l’accento mentre in terzultima posizione la situazione è oscillante: per esempio, la nonce word
chiateppo è sempre pronunciata [kjaˈteppo] mentre per una parola come plontico il 71% delle realizzazioni avrà l’accento sulla penultima sillaba e il
29% sulla terzultima sillaba. Anche un’analisi a livello quantitativo non permette di ottenere risultati univoci, soprattutto per quanto riguarda
le parole trisillabiche: parole con struttura ACA (A sta per sillaba aperta, C sta per sillaba chiusa) sono quasi sempre accentate sulla penultima
(cfr. [aˈpɛrto]) mentre parole con struttura AAA possono avere accento sulla penultima o terzultima e ciò non sembra essere prevedibile deterministicamente
([ˈaːzino] vs [kaˈziːno]) perché è un accento determinabile solo lessicalmente.
Riferimenti
1 Kramer, Martin (2022), ‘18 Italian’ In Manual of Romance Phonetics and Phonology edited by C. Gabriel, R. Gess and T. Meisenburg, pp. 559-596. Berlin, Boston: De Gruyter.
2 Kramer, Martin (2006), ‘Main Stress in Italian Nonce Nouns’ in Romance Languages and Linguistic Theory edited by D. Torch and W. Leo Wetzels, pp.127-141, Amsterdam: John Benjamins Publishing Co.
Il raddoppiamento fonosintattico è un fenomeno dell’italiano standard che consiste nella geminazione della consonante iniziale di una parola quando questa è preceduta da una parola ossitona o da un monosillabo. La prima parola determina il raddoppiamento e la seconda parola esibisce il raddoppiamento. La lista delle parole che determinano il raddoppiamento nella parola seguente è indicata in tabella.
| Monosillabi forti | sostantivi, aggettivi e numerali | [rekˈkarlo], [blunˈnɔtte], [trevˈvɔlte], [tefˈfreddo] |
| forme verbali | [elˈluːi], [fudˈdetto], [ofˈfatto], [stakˈkwa], [pwɔpparlˈaːre] | |
| pronomi | [tudˈdiːʧi], [kivˈvjɛːne], [kedˈdiːʧi] | |
| avverbi | [kwasˈsotto], [lafˈfwɔːri], [pjukˈkaːro] | |
| nomi delle lettere dell'alfabeto | [piɡˈɡrɛːko], [ilˈluɳɡa], [vudˈdoppja] | |
| Monosillabi deboli | preposizioni a, da, tra, fra, su | [anˈnaːpoli], [dabˈbaːri], [tranˈnoːi], [fravˈvoːi], [sumˈmille] |
| congiunzioni e, o, né, ma, se, che | [ekkoˈzi], [onˈnɔ], [nelˈlɛːi], [mavˈveːdi], [sekˈkreːdi], [kevˈvɛnɡa] | |
| Bisillabi | come, qualche | [comemˈme], [kwalkevˈvɔlta] |
| Parole tronche | solo se terminanti per vocale | [ʧittavˈvwɔːta], [kaffefˈfreddo] |
In alcune condizioni il raddoppiamento fonosintattico non si verifica:
- Se le due parole sono separate da pause o appartengono a sintagmi o proposizioni differenti.
- Se la seconda parola inizia per vocale o se inizia per fricativa alveolare seguita da un’altra consonante come in [a zbaʎˈʎaːto].
- Se la prima parola è una preposizione diversa da quelle indicate in tabella (per esempio, [di ˈbaːri]), un articolo determinativo o indeterminativo
(per esempio, [unaˈdonna] e [le raˈɡaʦʦe]), uno dei pronomi mi, ti, si, gli, le, ci, vi (come in [miˈpjaːʧe] e [tiˈdiːko]) o un monosillabo terminante
in consonante (come in [perˈme] o [nomˈpɔsso]).
Il fenomeno del raddoppiamento fonosintattico, inoltre, è fortemente suscettibile di variazioni di carattere diatopico: per esempio, in varietà centrali dell’italiano, anche la preposizione di causa il raddoppiamento fonosintattico e si avrà [dibˈba:ri].
In questa sezione si definiscono le regole che permettono di trascrivere foneticamente l’italiano standard secondo l’alfabeto IPA.
La notazione utilizzata per tali regole è ricavata e adattata da Graffi & Scalise (2003: 93) 1 nella seguente forma:
\begin{equation*} <A> \;\rightarrow [\:B\:] \; / \;C + \underline{\hspace{1cm}} + D \end{equation*}
che significa che il grafema <A> viene trascritto con il fono [B] se è preceduto da C e seguito da D (dove C e D possono essere grafemi o caratteristiche
fonetiche o soprasegmentali come la sillaba che contiene il grafema). Talvolta alcune componenti del contesto (C e D) sono assenti (quando la possibile
trascrizione fonetica di un grafema è unica oppure la scelta tra un fono e un altro è determinabile solo dal punto di vista lessicale e non in modo
deterministico mancano sia C sia D; nella maggioranza delle regole è indicato solo ciò che precede o ciò che segue la lettera dell’alfabeto considerata).
Non esiste una corrispondenza biunivoca tra grafemi e suoni dell’italiano, escluse le coppie grafema/fono indicate di seguito:
Per tutti gli altri grafemi non è possibile stabilire corrispondenze biunivoche con un suono: in base al contesto, lo stesso grafema può trascrivere diversi suoni e lo stesso suono può essere trascritto da diversi grafemi.
Qui di seguito si presentano le diverse regole contestuali che permettono di trascrivere correttamente i grafemi:
\begin{equation} <c> \;\rightarrow \left\{\!\begin{aligned} &[\:\text{ʧ}\:] &/ \underline{\hspace{1cm}} \; + \left\{\!\begin{aligned} <i>\\ <e> \end{aligned}\right\}\\\\ &[\:\text{k}\:] & \text{altrove} \end{aligned}\right\} \label{eq:c} \end{equation}
Il set di regole (1) formalizza il fenomeno della palatalizzazione dell’occlusiva velare sorda e si legge in questo modo: il grafema <c> è trascritto come affricata post-alveolare sorda [ʧ] se seguito da grafemi <i> oppure <e>, è trascritto come occlusiva velare sorda [k] in tutti gli altri contesti.
\begin{equation} <g> \;\rightarrow \left\{\!\begin{aligned} &[\:\text{ʤ}\:] &/ \; \underline{\hspace{1cm}} + \left\{\!\begin{aligned} <i>\\ <e> \end{aligned}\right\}\\\\ &[\:\text{ʎ}\:] & \;\begin{aligned} / \;\text{vocale} + \underline{\hspace{1cm}} + <li>\\ / \# \underline{\hspace{1cm}} + <li> \end{aligned}\\\\ &[\:\text{ɲ}\:] & \!\begin{aligned} /\underline{\hspace{1cm}} + <n>\\ / <n> + \underline{\hspace{1cm}} + <li> \end{aligned}\\\\ &[\:\text{ɡ}\:] & \text{altrove} \end{aligned}\right\} \label{eq:g} \end{equation}
Per quanto riguarda il grafema <g>, oltre a considerare il fenomeno della palatalizzazione, è necessario considerare anche la trascrizione della nasale e laterale palatali. In particolare, <g> si trascrive come laterale palatale quando il grafema è seguito da <li< preceduto da vocale come in [ˈaʎʎo] o all’inizio di parola (rappresentato dal simbolo #) come in [ʎi]. L’unico caso in cui <g> è trascritto come occlusiva velare anche se seguito dal gruppo <li> è quando è preceduto da <n> in parole come [aŋɡliˈkaːno] o [aŋˈɡlistika].
\begin{equation} <e> \;\rightarrow \left\{\!\begin{aligned} &\;\begin{aligned} &[\:\text{e}\:] \\ &[\:\large\text{ɛ}\normalsize\:] \end{aligned} & / \;\;\text{sillaba accentata} \\\\ &\;[\:\text{e}\;] & / \;\;\text{sillaba non accentata} \end{aligned}\right\} \label{eq:e} \end{equation}
\begin{equation} <o> \;\rightarrow \left\{\!\begin{aligned} &\;\begin{aligned} &[\:\text{o}\:] \\ &[\:\large\text{ɔ}\normalsize\:] \end{aligned} & / \;\;\text{sillaba accentata} \\\\ &\;[\:\text{o}\;] & / \;\;\text{sillaba non accentata} \end{aligned}\right\} \label{eq:o} \end{equation}
Le regole (3) e (4) indicano che le differenze di suono tra le vocali medio-alte e medio-basse sono trascurate dalla grafia nelle sillabe accentate e l’occorrenza di uno o dell’altro suono non si può stabilire deterministicamente.
\begin{equation} <i> \;\rightarrow \left\{\!\begin{aligned} & \;\emptyset & \!\begin{aligned} & / \left\{\!\begin{aligned} <gn>\\ <gl>\\ <sc> \end{aligned}\right\} + \underline{\hspace{1cm}} + \text{vocale}\\ & / \left\{\begin{aligned} \;<g>\;\\ \;<c>\; \end{aligned}\right\} + \underline{\hspace{1cm}} + \text{vocale}\\ \!\end{aligned}\\\\ &[\:\text{j}\:] & / \underline{\hspace{1cm}} + \left\{\!\begin{aligned} <a>\\ <e>\\ <i>\\ <o> \end{aligned}\right\}\\\\ &[\:\text{i}\:] & \text{altrove} \end{aligned}\right\} \label{eq:i} \end{equation}
Il grafema <i> ha solo valore diacritico in varie situazioni e può rappresentare, se seguito da vocale in dittonghi ascendenti, il glide palatale oppure la vocale anteriore alta in tutti gli altri casi.
\begin{equation} <l> \;\rightarrow \left\{\!\begin{aligned} & \;\emptyset & / <g> + \underline{\hspace{1cm}} \\\\ & [\:\text{l}\:] & \text{altrove} \end{aligned}\right\} \label{eq:l} \end{equation}
\begin{equation} <m> \;\rightarrow \left\{\!\begin{aligned} & [\:\text{ɱ}\:] & / \underline{\hspace{1cm}} + \left\{\!\begin{aligned} <f>\\ <v> \end{aligned}\right\}\\\\ & [\:\text{n}\:] & / \underline{\hspace{1cm}} + \left\{\!\begin{aligned} <t>\\ <d> \end{aligned}\right\}\\\\ & [\:\text{ɳ}\:] & / \underline{\hspace{1cm}} + \left\{\!\begin{aligned} \:\large\text{[k]}\normalsize\:\\ \:\large\text{[ɡ]}\normalsize\: \end{aligned}\right\}\\\\ & [\:\text{m}\:] & \text{altrove} \end{aligned}\right\} \label{eq:m} \end{equation}
\begin{equation} <n> \;\rightarrow \left\{\!\begin{aligned} & [\:\text{ɱ}\:] & / \underline{\hspace{1cm}} + \left\{\!\begin{aligned} <f>\\ <v> \end{aligned}\right\}\\\\ & [\:\text{m}\:] & / \underline{\hspace{1cm}} + \left\{\!\begin{aligned} <p>\\ <b> \end{aligned}\right\}\\\\ & [\:\text{ɳ}\:] & / \underline{\hspace{1cm}} + \left\{\!\begin{aligned} \:\large\text{[k]}\normalsize\:\\ \:\large\text{[ɡ]}\normalsize\: \end{aligned}\right\}\\\\ & \; \emptyset & / <p> + \underline{\hspace{1cm}}\\\\ & [\:\text{m}\:] & \text{altrove} \end{aligned}\right\} \label{eq:n} \end{equation}
In (7) e (8) sono rappresentate le regole di assimilazione regressiva delle nasali per cui tali foni assumono il modo di articolazione della consonante che le segue.
\begin{equation} <s> \;\rightarrow \left\{\!\begin{aligned} & [\:\text{z}\:] & \begin{aligned} & / \underline{\hspace{1cm}} + \text{C sonora (no glide)}\\ & / \;\;\;\;\text{vocale} + \underline{\hspace{1cm}} + \text{vocale} \end{aligned}\\\\ & [\;\large\text{ʃ}\normalsize\;] & / \underline{\hspace{1cm}} + <c> + \left\{\!\begin{aligned} <i>\\ <e> \end{aligned}\right\}\\\\ & [\:\text{s}\:] & \text{altrove} \end{aligned}\right\} \label{eq:s} \end{equation}
L’insieme di regole (9) descrive due fenomeni: l’assimilazione regressiva di sonorità della fricativa alveolare sorda che è trascritta come fricativa alveolare sonora se seguita da consonante sonora (tranne glide) e in posizione intervocalica e la trascrizione della fricativa post-alveolare sorda.
\begin{equation} <u> \;\rightarrow \left\{\!\begin{aligned} & [\:\text{w}\:] & / \underline{\hspace{1cm}} + \left\{\!\begin{aligned} <a>\\ <e>\\ <i>\\ <o>\\ \end{aligned}\right\}\\\\ & [\:\text{u}\:] & \text{altrove} \end{aligned}\right\} \label{eq:u} \end{equation}
Il grafema <u> trascrive sia la vocale posteriore alta sia il glide labiale quando il grafema è seguito da una vocale diversa da [u] in qualità di primo elemento di un dittongo ascendente.
\begin{equation} <z> \;\rightarrow \left\{\!\begin{aligned} &\:\large\text{[ʦ]}\normalsize\:\\ & \:\large\text{[ʣ]}\normalsize\: \end{aligned}\right\} \label{eq:z} \end{equation}
Il grafema <z> è utilizzato per scrivere l’affricata alveolare sia sorda sia sonora e l’occorrenza di uno o dell’altro suono non è determinabile deterministicamente.
Si verificano fenomeni di autogeminazione per i seguenti foni in posizione intervocalica: le affricate alveolari sorda e sonora [ʦ] e [ʣ], la fricativa post-alveolare sorda [ʃ], la nasale palatale [ɳ] e la laterale palatale [ʎ].
Si elencano qui le regole di conversione dei grafemi stranieri in suoni dell’italiano standard:
- il grafema <j> può essere la versione scritta di due suoni differenti: il glide palatale [j] come in [ˈjunjor] (in quanto latinismo ma talvolta, in modo scorretto, è pronunciato anche da italofoni [ˈʤunjor] come se fosse un inglesismo) oppure la fricativa post-alveolare sonora [ʒ] come in [ʒijˈad].
- il grafema <k> rende sempre l’occlusiva velare sorda [k] come in [koˈaːla].
- il grafema <w> può rappresentare il glide labiale [w] come in [ˈwɛb] o la fricativa labiodentale sonora [v] come in [ˈvaːfer].
- Il grafema <x> rappresenta sempre il gruppo consonantico [ks] come in [ˈtaksi].
- Il grafema <y> corrisponde al glide palatale come in [ˈjɔːɡurt] ma, soprattutto in fine di parola, corrisponde alla vocale alta anteriore [i] come in [ˈɔbbi].
Ci sono, infine, eccezioni alle regole definite in questa sezione. Se ne citano un paio a scopo puramente esemplificativo:
- la parola [ˈɡliːʧine], per esempio, viola le regole (2) e (5) relative alla grafia della laterale palatale;
- in alcune parole come i derivati di sci, le voci del verbo sciare o la parola scia la <i> va pronunciata come in [ʃi] e [ˈʃia] e ciò viola la regola (5). Un fenomeno simile avviene in parole come [ɡorɡoʎˈʎio] in cui la <i> va pronunciata, sempre in violazione della regola (5);
- nei composti è violata la regola (9) per quanto concerne la grafia della fricativa alveolare in posizione intervocalica come in [semiˈsordo].
Riferimenti
1 Graffi, Giorgio & Scalise, Sergio (2003), Le lingue e il linguaggio. Introduzione alla linguistica, Bologna: Il Mulino.